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martedì 14 gennaio 2020

Riflessioni sul nome "Casteldaccia"

di Pietro Simone Canale

L’identità di un luogo si stabilisce prima di tutto col nome. Dare un nome a un oggetto, a una persona, a un concetto o a un luogo significa dare essenza e esistenza. Casteldaccia, località a 15 km da Palermo con 11.000 abitanti circa, ha un’identità chiara e precisa? Sembrerebbe di sì, soprattutto quando bisogna distinguersi dalle realtà viciniori (Casteldaccia e non Altavilla Milicia, Casteldaccia e non Bagheria ad esempio). È bene, per questo motivo, interrogarsi sul nome Casteldaccia, sull’etimologia e sulle ipotesi del suo significato. 
È idea comune tra i Casteldaccesi, anche a causa delle sparute, fuorvianti e poco accurate ricerche sulla storia del paese, che il nome sia composto dalla parola accia, ossia «sedano» in siciliano. Tuttavia, la faccenda è ben più complessa e articolata ed è certo che il sedano non c’entri un cavolo! Tralasciando per un attimo la questione “ortofrutticola”, è bene iniziare col dire che il paese ha due nomi: il primo, in lingua italiana, è Casteldaccia, dal primigenio Castel dell'Accia; il secondo, in lingua siciliana, è Castiddazzu. I due toponimi, sebbene siano usati senza alcuna distinzione a seconda che si parli in italiano o in dialetto, hanno due significati e due origini differenti e non collegati tra loro. 
Castiddazzu si traduce in italiano con «Castellaccio», nome comune e generico per indicare un complesso fortificato di edifici con un’alterazione in senso dispregiativo. Come non ricordare il «castellaccio» dell’Innominato? Questo nome è attestato nel Dizionario topografico della Sicilia del 1855: 


Castellaccio. Lat. Castellatium. Sic. Castiddazzu (V. M.). Nuovo villaggetto oggigiorno, ma antichissima rocca; occorre a due miglia da Bagheria, non lungi dalla terra dell’Accia, onde dicesi altrimenti Castel d’Accia. La magnifica Chiesa parrocchiale con cupola, sacra alla Immacolata Concezione di Maria è sotto un Arciprete. Ne sono 183 le case, 400 gli abitanti. Fecondo è il territorio, vi sono cave di marmo bianco. Appartenevasi alla famiglia Spadafora, poi Requesens; ed oggi ne è il Barone Ignazio Vincenzo Abate Marchese di Longarino.[1]


Dalla voce del Dizionario topografico è noto il doppio nome per indicare la località. Mentre «Castellaccio» è un nome che ricorre otto volte nei lemmi dell'opera di Vito Amico per indicare diverse località in varie parti dell’isola, il nome Castel d’Accia è sicuramente quello più originale e meritevole di una spiegazione e di una speculazione sull’etimologia. 
Il significato del termine è letteralmente quello di «castello dell’Accia» in cui Accia è riferito al feudo (oggi usiamo il termine contrada) poco distante dal luogo in cui sorge il complesso monumentale, meglio noto come Torre Duca di Salaparuta nel centro storico del paese, esistente già nel Cinquecento e probabilmente costruito su un preesistente fondaco rurale trecentesco.[2] Sebbene non esistano prove certe che il «Castellaccio» sia la Torre, diamo momentaneamente per buona questa ipotesi. Quello che più interessa a questo punto è spiegare il significato del nome Accia. È naturale pensare che esso si riferisca all’accia, o sedano. La parola accia proviene dal francese antico ache, che ha radice nella parola latina apium, dal quale si trova anche un corrispettivo aulico in italiano, apio. Tuttavia, seguire la strada del «sedano» porta a una conclusione errata e priva di fondamento. Il termine «Accia», che identifica tutt’oggi la zona collinare tra i comuni di Casteldaccia, Bagheria e Santa Flavia, è in origine Lachia, o meglio Λαχια. La parola di origine greca, correlata al termine βαχαρίας, (bacharias), compare già nel XII secolo per indicare una parte dell’antico territorio di Solunto e, in particolare, quella interna.[3] Antonino Morreale, che ha condotto gli studi sul territorio, sostiene che l’origine e il significato della parola Lachia siano oscuri e ignoti a riprova della decadenza del territorio dopo il tramonto di Solunto. Tuttavia, è possibile fare alcune importanti considerazioni e riflessioni sull’etimologia di Lachia
La Sicilia, prima dell’arrivo degli Svevi, i quali promuovono un processo di “latinizzazione” dell’isola e di “romanizzazione” della Chiesa siciliana, è un’isola fondamentalmente greca, anche sotto gli Arabi e nonostante i tanti secoli di dominio di Roma. Ne è prova la toponomastica siciliana che è per la maggior parte di origine greca. 
Lachia, il nome originario di Accia, è quindi di origine greca e richiama la parola greca λάχανον (láchanon, al plurale láchana) che vuol dire ortaggi, verdure e che sottolineerebbe la vocazione agricola del territorio. 
Un’altra ipotesi molto suggestiva è legata alla parola λαχή (laché, fossa), dal verbo λαχαίνω (lachaìno, scavare). Il fenomeno linguistico greco dello iotacismo, ossia un errore di scrittura che nasce in manoscritti greci per la sostituzione di un iota ad altro segno di vocale o di dittongo di ugual suono, spiegherebbe la trasformazione di laché in lachia e riguarderebbe l’avvallamento, oppure una fossa o una conca, che caratterizza il territorio dell’Accia. Oppure potrebbe indicare lo sfruttamento delle cave di pietra, attestato già prima del XII secolo. 
Si esclude pertanto ogni probabile legame con la parola siciliana accia (in greco antico sedano è σέλινον, sélinon), sebbene nella prima ipotesi ci si riferisca comunque a prodotti dell’agricoltura. 
Tuttavia, viene da chiedersi come si possa trasformare il nome Lachia in Accia. Capita sovente che un termine si corrompa nel corso dei secoli e che si perda memoria del significato originario. Si passa quindi dal dimenticato e «ignoto» Lachia a Laccia e poi al più familiare (per il contadino e per chi possiede la terra) “l’accia”. Un esempio più celebre è quello di Isola delle Femmine, toponimo sul quale si sono scritte e dette molte storie fantasiose, dal carcere femminile alla forma dell’isoletta che richiamerebbe un seno. In verità il nome Isola delle Femmine non è altro che la corruzione dell’originario “Insula Fimi” che a sua volta è la latinizzazione di “Isola di Eufemio”, il generale bizantino, che si ribellò all’imperatore di Costantinopoli e favorì la conquista araba della Sicilia. Nonostante queste spiegazioni, le errate credenze popolari sono difficili da smontare! 
Altro esempio, in questo caso legato a Casteldaccia, è il significato del nome della contrada Ciandro, in siciliano “casteldaccese” Ciannaru. La parola Ciandro è già la “sicilianizzazione” del termine latino cantor in ciantro; così veniva indicato, infatti, il territorio concesso al Cantore della Cappella Palatina di Palermo nei primi secoli del secondo millennio. Con il passare dei secoli gli originari significati si perdono nella memoria collettiva, pur rimanendo nelle carte degli archivi, e i nomi si trasformano. 


Pietro Simone Canale




Contrada dell'Accia




Contrada dell'Accia 










[1] V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di Marzo, Palermo, Tip. di Pietro Morvillo, 1855, v. 1. 

[2] Rimando per una storia del territorio casteldaccese a A. Morreale, Campagne palermitane nel Medioevo (secoli XI-XV). La Bacaria, l’Accia, Solanto, in «ASSO», 1985-1986, pp. 47-78; Id., Dal feudo al villaggio rurale. Popolamento e colture nel feudo palermitano del Ciantro fra XII e XVIII secolo, in «ASSO», 1987, pp. 7-71; Id., La vite e il leone. Storia della Bagaria. Secc. XII-XIX, Roma-Palermo, Editrice Ciranna, 1998. 

[3] Ivi, p. 20. 

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