lunedì 26 maggio 2014

La festa di San Giuseppe. Una dialettica antropologica sugli scenari festivi (2009)

Alessandra Giamporcaro, Casteldaccia: La festa di San Giuseppe. Una dialettica antropologica sugli scenari festivi, in collaborazione con Gianfranco Geraci, Marineo, Studio Grafico Pesco, 2009. Leggi il testo integrale del libro.

Un volume che ricostruisce e interpreta in chiave antropologica la festività di San Giuseppe in Sicilia e nello specifico a Casteldaccia.
Alessandra Giamporcaro, laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia, racconta la nostra festa del Santo Patrono, illustrando tutti gli elementi che la animano e l'hanno animata nel passato – alborata, corsa e sfilata dei cavalli, banda musicale, novena, processione, volata dell'angelo, tavolata, vampa, giochi d'artificio, pietanze e dolci tipici – con dovizia di particolari e interessanti approfondimenti storici.
In più, la ricerca antropologica della Giamporcaro contestualizza la festa di Casteldaccia nell'ambito delle feste patronali in Sicilia e nel meridione, con le sue stratificazioni e i suoi significati nascosti.  Festa di San Giuseppe - che a Casteldaccia si tiene il 19 marzo e la terza settimana di agosto - che rappresenta un importantissimo rito di passaggio che punteggiava il tempo dell'agricoltura, la rappresentazione dialettica delle forze del cosmos, dell'ordine e della vita che lottano contro le forze del caos, del disordine e della morte. La festa si rivela così carica di significati nascosti, con le tavolate e l'abbondanza ostentata del cibo, così come i quaranta giovani che virilmente portano la vara nella processione, o la catasta di legna che brucia per la vampa, che sono tutti simboli della morte e della risurrezione del Dio e della natura, della rinascita annuale perpetrata dalle stagioni, della vita che va avanti. Il volume, inoltre, è corredato da numerose ricette di cucina e una galleria di foto d'epoca.

Dalla prefazione di Paolo Di Giacinto:

Siamo grazie a Dio ormai lontani da pregiudizi che relegavano queste manifestazioni nel mondo della sottocultura, frutto  di ignoranza, confinanti con la supertizione, zavorra e ostacolo al progresso e alla civiltà.


Le scienze antropologiche invece ci hanno da tempo avvertito che niente delle manifestazioni sociali può essere trascurato nel ricostruire l'identità del popolo. “La cultura, o civiltà, intesa nel senso ampio etnografico, è quell'insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità acquisita dall'uomo come membro di una società”. Così scriveva il fondatore dell'antropologia culturale E.B. Taylor, nel XIX sec., aprendo il suo volume Primitive culture. E più avanti nello stesso capitolo ribadiva: “proprio come il catalogo di tutte le specie vegetali e animali di una zona rappresenta la sua sua flora e la sua fauna, così l'elenco di tutte le voci della vita generale e di un popolo rappresenta quell'insieme che chiamiamo la sua cultura”.

Non semplice curiosità per un passato ormai tramontato, né voglia di rifugiarsi in un tempo mitizzato animano chi si è messo a rintracciare nel presente fili che legano a un recente passato. Piuttosto la voglia di ritrovarsi e farsi testimoni vivi di un patrimonio ricco di valori e in particolare di fede, che in “riti”, usanze, proverbi, canti popolari e altro ancora si è come codificato.

Un brano che racconta la storia della vampa, la catasta di legno alta 10-15 metri – soprattutto legno delle viti potate in quel periodo – che viene data alle fiamme durante la festa.

Oggi a Casteldaccia si assiste a un'unica vampa, come negli anni'30-40 quando una settimana prima la vigilia di san Giuseppe, tutti i contadini del paese raccoglievano la legna per portarla poi nel luogo in cui si sarebbe allestita. Intorno agli anni 50-60 alla fine della messa vespertina si bruciavano diversi falò organizzati privatamente dai cittadini nei vari quartieri del paese e questi ardevano tra le grida e le invocazioni dei fedeli che con gioia gridavano: “Viva san Ciusippuzzu”. La vampa è, innanzitutto, il simbolo della luce. È il simbolo della presenza di Cristo, perchè la luce simboleggia Cristo nella cristianità; inoltre, a Pentecoste lo Spirito Santo è sceso sugli apostoli e i presenti sotto forma di lingue di fuoco, quindi il fuoco rappresenta non solo la presenza di Cristo ma anche dello Spirito Santo. (….) Come evidenzia Ignazio E. Buttitta: “Il fuoco con il suo ricco simbolismo, rinvia a celebrazioni di rifondazione del tempo volte a determinare la rigenerazione del cosmos naturale e sociale. In quanto simbolo di rigenerazione il fuoco detiene un valore purificatorio”. La funzione del fuoco è quindi quella di distruggere i mali e le colpe accumulate nel periodo precedente per poter rifondare un nuovo tempo.


In epoca romana il primo mese dell'anno era Marzo, quando il sole appare ancora spento, si accendevano i fuochi per dargli forza e calore. Nel 1379 i fuochi vennero banditi perchè ritenuti di origine pagana,ma la Chiesa si oppose a queste decisioni collocando la data della vampa al 18 marzo, vigilia di San Giuseppe, e riconsegnandola al calendario espressamente come rito cristiano. I falò, ancora accesi, hanno motivo di esistere per diverse ragioni, non ultima quella di risvegliare la natura secondo cicli stagionali e della rigenerazione cosmica, ma assumono anche carattere lustratorio e apotropaico, qualora servono ad allontanare gli spiriti maligni e le avversità stagionali. Il giorno 18 marzo si conclude quando le fiamme della vampa smettono di ardere e i cittadini fanno rientro nelle proprie abitazioni.




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