Alessandra Giamporcaro, Casteldaccia: La festa di San Giuseppe. Una dialettica antropologica
sugli scenari festivi, in collaborazione con Gianfranco Geraci, Marineo,
Studio Grafico Pesco, 2009. Leggi il testo integrale del libro.
Alessandra
Giamporcaro, laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia, racconta la nostra festa
del Santo Patrono, illustrando tutti gli elementi che la animano e l'hanno
animata nel passato – alborata, corsa e sfilata dei cavalli, banda musicale,
novena, processione, volata dell'angelo, tavolata, vampa, giochi d'artificio,
pietanze e dolci tipici – con dovizia di particolari e interessanti
approfondimenti storici.
In
più, la ricerca antropologica della Giamporcaro contestualizza la festa di
Casteldaccia nell'ambito delle feste patronali in Sicilia e nel meridione, con
le sue stratificazioni e i suoi significati nascosti. Festa di San Giuseppe - che a Casteldaccia si
tiene il 19 marzo e la terza settimana di agosto - che rappresenta un
importantissimo rito di passaggio che punteggiava il tempo dell'agricoltura, la
rappresentazione dialettica delle forze del cosmos, dell'ordine e della
vita che lottano contro le forze del caos, del disordine e della morte. La
festa si rivela così carica di significati nascosti, con le tavolate e
l'abbondanza ostentata del cibo, così come i quaranta giovani che virilmente
portano la vara nella processione, o la catasta di legna che brucia per la
vampa, che sono tutti simboli della morte e della risurrezione del Dio e della
natura, della rinascita annuale perpetrata dalle stagioni, della vita che va
avanti. Il
volume, inoltre, è corredato da numerose ricette di cucina e una galleria di
foto d'epoca.
Dalla
prefazione di Paolo Di Giacinto:
Siamo grazie a Dio ormai lontani da pregiudizi che relegavano queste manifestazioni nel mondo della sottocultura, frutto di ignoranza, confinanti con la supertizione, zavorra e ostacolo al progresso e alla civiltà.
Le scienze antropologiche invece ci hanno da tempo avvertito che niente delle manifestazioni sociali può essere trascurato nel ricostruire l'identità del popolo. “La cultura, o civiltà, intesa nel senso ampio etnografico, è quell'insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità acquisita dall'uomo come membro di una società”. Così scriveva il fondatore dell'antropologia culturale E.B. Taylor, nel XIX sec., aprendo il suo volume Primitive culture. E più avanti nello stesso capitolo ribadiva: “proprio come il catalogo di tutte le specie vegetali e animali di una zona rappresenta la sua sua flora e la sua fauna, così l'elenco di tutte le voci della vita generale e di un popolo rappresenta quell'insieme che chiamiamo la sua cultura”.
Non semplice curiosità per un passato ormai tramontato, né voglia di rifugiarsi in un tempo mitizzato animano chi si è messo a rintracciare nel presente fili che legano a un recente passato. Piuttosto la voglia di ritrovarsi e farsi testimoni vivi di un patrimonio ricco di valori e in particolare di fede, che in “riti”, usanze, proverbi, canti popolari e altro ancora si è come codificato.
Un
brano che racconta la storia della vampa, la catasta di legno alta 10-15 metri
– soprattutto legno delle viti potate in quel periodo – che viene data alle
fiamme durante la festa.
Oggi a Casteldaccia si assiste a un'unica vampa, come negli anni'30-40 quando una settimana prima la vigilia di san Giuseppe, tutti i contadini del paese raccoglievano la legna per portarla poi nel luogo in cui si sarebbe allestita. Intorno agli anni 50-60 alla fine della messa vespertina si bruciavano diversi falò organizzati privatamente dai cittadini nei vari quartieri del paese e questi ardevano tra le grida e le invocazioni dei fedeli che con gioia gridavano: “Viva san Ciusippuzzu”. La vampa è, innanzitutto, il simbolo della luce. È il simbolo della presenza di Cristo, perchè la luce simboleggia Cristo nella cristianità; inoltre, a Pentecoste lo Spirito Santo è sceso sugli apostoli e i presenti sotto forma di lingue di fuoco, quindi il fuoco rappresenta non solo la presenza di Cristo ma anche dello Spirito Santo. (….) Come evidenzia Ignazio E. Buttitta: “Il fuoco con il suo ricco simbolismo, rinvia a celebrazioni di rifondazione del tempo volte a determinare la rigenerazione del cosmos naturale e sociale. In quanto simbolo di rigenerazione il fuoco detiene un valore purificatorio”. La funzione del fuoco è quindi quella di distruggere i mali e le colpe accumulate nel periodo precedente per poter rifondare un nuovo tempo.
In epoca romana il primo mese dell'anno era Marzo, quando il sole appare ancora spento, si accendevano i fuochi per dargli forza e calore. Nel 1379 i fuochi vennero banditi perchè ritenuti di origine pagana,ma la Chiesa si oppose a queste decisioni collocando la data della vampa al 18 marzo, vigilia di San Giuseppe, e riconsegnandola al calendario espressamente come rito cristiano. I falò, ancora accesi, hanno motivo di esistere per diverse ragioni, non ultima quella di risvegliare la natura secondo cicli stagionali e della rigenerazione cosmica, ma assumono anche carattere lustratorio e apotropaico, qualora servono ad allontanare gli spiriti maligni e le avversità stagionali. Il giorno 18 marzo si conclude quando le fiamme della vampa smettono di ardere e i cittadini fanno rientro nelle proprie abitazioni.
Nessun commento:
Posta un commento