di Pietro Simone Canale
«Fino all'8 settembre del 1943, l’Italia fascista e la Germania nazista erano alleate, [...] ma, dopo l’armistizio firmato da Badoglio con gli anglo-americani e dopo la costituzione, nel nord della penisola, della Repubblica di Salò guidata da Mussolini, per i nazisti l’Italia era un paese nemico e, in più, traditore.
Iniziò allora, dal territorio della Repubblica di Salò, la deportazione degli italiani, favorita dalla collaborazione fra la Milizia fascista e le SS.
A [settanta] anni dalla fine della guerra, ancora non è possibile stabilire con certezza l’identità ed il numero degli italiani che furono deportati nei campi di sterminio e di annientamento nazisti. La stima più accreditata fissa in circa 44.000 il numero di italiani che furono rinchiusi nelle centinaia di lager, di cui il regime hitleriano aveva costellato l’Europa invasa.
Dei deportati italiani, almeno 8.600 furono gli ebrei e circa 30.000 i partigiani, gli antifascisti e i lavoratori (questi ultimi arrestati in gran parte dopo gli scioperi del marzo 1944)»,[1] a cui si aggiungono circa 650.000 IMI o carcerati militari o ufficiali antifascisti. Se si escludono i militari internati circa il 90% dei deportati italiani perse la vita nei campi di concentramento.
Tra i primi deportati a conoscere la tragedia dei KZ nazisti, gli ebrei, gli antifascisti condannati al carcere o al confino, i militari arrestati sui diversi fronti di guerra. Militari detenuti presso le carceri di Peschiera del Garda furono i primi deportati italiani, giunti a Dachau il 22 settembre 1943. La maggioranza delle vittime dei nazisti trovò la morte nei lager di Auschwitz, Birkenau, Dachau, Flossenbuerg, Dora, Neuengamme, Ravensbrueck, Mauthausen. Nell'Italia del Nord furono creati dei campi di concentramento, dove gli arrestati (partigiani, antifascisti, ebrei) sostavano per un breve periodo, in attesa dei convogli che li avrebbero trasportati nei grandi lager del Reich e dei territori occupati.. Erano, cioè, dei "campi di transito". [...] Anche in Italia venne istituito un campo di sterminio: la Risiera di San Sabba, a Trieste, dal 20 ottobre 1943 fino al 29 aprile 1945. Vi furono internati: italiani (ebrei e non), sloveni, croati e le vittime non furono meno di 5.000. [...] Migliaia furono i patrioti ed i partigiani, catturati soprattutto durante i grandi e pesanti rastrellamenti nazifascisti - molto attivo l’operato dei militi della Repubblica Sociale Italiana, esercito fantoccio e servo dei nazisti – che ebbero luogo dal gennaio – marzo 1944 fino al febbraio 1945, nel nord Italia. La maggior parte fu deportata a Mauthausen e suoi sottocampi, a Neuengamme, a Flossenbuerg, a Dachau, a Buchenwald. Nei lager nazisti gli italiani, arrestati e deportati come antinazisti, dovevano portare sulle spalle anche la “colpa di essere traditori”, “badogliani” e quindi venivano considerati doppiamente colpevoli e tali da essere destinati ai lavori più pesanti, più avvilenti, più massacranti, al pari degli ebrei e dei prigionieri di guerra sovietici. Erano sicuramente i più esposti alle efferate punizioni ed alla privazione del già miserrimo cibo. Il loro ritorno a casa, ancor più che per altri prigionieri, era assolutamente non prevedibile, “non desiderato”. Tutti gli strati del nostro paese furono colpiti dalla tragedia della deportazione, del terrore dei lager. Dall’intellettuale all’operaio, all’artigiano, dal più povero al ricco, dal giovane al vecchio stanco e malato, donne, bambini, uomini. [...].[2]
Spesso si tende ad associare "campo di concentramento" solo ed esclusivamente con "Ebrei" e con "Shoah". Si dimentica spesso che i campi di concentramento tedeschi e italiani furono dei veri e propri luoghi di morte per i nemici dei nazisti e per coloro che erano definiti "inferiori". Per questo motivo nei campi venivano deportati Ebrei, zingari, Slavi, Testimoni di Geova, omosessuali, militanti di partiti politici, prigionieri di guerra, tra i quali i militari italiani e i partigiani.
Tra i deportati italiani si contano anche dei cittadini casteldaccesi. È stato possibile realizzare una scheda soltanto su due deportati casteldaccesi nei campi di concentramento, Onofrio Di Martino e Michele Fiorentino, traendo questi nomi dall'elenco di deportati siciliani compilato da Giovanna D'Amico, ricercatrice presso l'Università degli studi di Messina. Tuttavia è noto a Casteldaccia la storia di altri deportati nei campi di concentramento. Tra questi Mariano Calò, morto a Mauthausen, Giovanni Orifici, Michelangelo Calò, la cui vicenda si narra nel libro di Francesco Barrancotto, Frammenti di memoria, suo compagno di prigionia nel campo di lavoro di Osnabruck e nel lager di Rezeikonung, Leonardo Modica, catturato dai tedeschi il 13 settembre del 1943 e oggi tutt'ora in vita.
Onofrio Di Martino nacque a Casteldaccia il 26 ottobre del 1914. Prima di partire per il fronte era contadino. Non si hanno notizie sulla cattura. Giunge a Mauthausen il 27 giugno del 1944. Nel campo di concentramento viene classificato come Berufverbrecher, ossia "delinquente abituale". Gli viene assegnato il numero di matricola 76429. È trasferito prima a Grossraming (sottocampo di Mauthausen aperto il 14 gennaio 1943 e chiuso il 19 febbraio 1945: con Bachmanning e Dippoldsau costituì un Kommando esterno. I deportati qui furono al massimo 1.013. Essi furono impiegati nella costruzione di una centrale elettrica) e poi a Redl-Zipf (sottocampo di Mauthausen, noto anche come Schlier, aperto l'11 ottobre 1943 ed evacuato il 3 maggio 1945: in questo Lager erano rinchiusi circa 1.500 deportati, che lavorarono prima alla costruzione di uno stabilimento e quindi alla produzione di ossigeno per missili. Il 3 aprile 1945 fu trasferito qui il Kommando di lavoro "Bernhard" di Sachsenhausen che produceva monete, composto da 141 prigionieri. Il 3 maggio 1945, sotto l'incalzare degli eserciti alleati, il sottocampo fu evacuato e i deportati trasferiti con una drammatica "marcia della morte" a Ebensee). Morì a Mauthausen il 5 dicembre del 1944.[3]
Il campo di concentramento di Mauthausen fu costruito nell'agosto del 1938, appena 5 mesi dopo l'Anschluss, l'annessione dell'Austria al Reich tedesco. La zona di Mauthausen fu scelta come sede di un campo di concentramento per la sua vicinanza con una cava di granito. La DEST, società posseduta dalle SS, acquistò le cave per sfruttarle commercialmente, anche in previsione del forte incremento nell'utilizzo di granito nei giganteschi monumenti progettati nelle "città delFührer" (tra le quali Linz). Per le SS il campo di concentramento svolgeva due funzioni: serviva all'eliminazione dei nemici politici attraverso la detenzione, le violenze, le uccisioni arbitrarie (cosa che consentiva il mantenimento di un regime di terrore tra gli oppositori del nazismo, al di fuori del campo); e contemporaneamente era una fonte di profitti, attraverso lo sfruttamento intensivo del lavoro dei deportati. Mauthausen, il solo campo di concentramento classificato di "classe 3" (come campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro) divenne uno dei più terribili Lager nazisti. I prigionieri dovettero fare fronte a condizioni di detenzione inumane e lavorare come schiavi nelle cave. Le violenze, le brutalità, le punizioni disumane, la fame e le uccisioni costituivano elementi essenziali della vita quotidiana. Gli uccisioni avvenivano in molte forme: attraverso le violenze dirette delle SS, le impiccagioni, le fucilazioni, le iniezioni al cuore, gli avvelenamenti e infine con il gas. Alcuni deportati furono semplicemente bagnati e lasciati gelare fino alla morte nel rigido inverno austriaco. L'incremento della produzione bellica e gli sforzi compiuti dal nazismo di trasferire in gallerie sotterranee le produzioni delle fabbriche colpite dai bombardamenti alleati portarono a partire dal 1943 a un allargamento delle funzioni del campo. Una grande parte dei prigionieri fu destinata alla produzione degli armamenti in diversi campi satellite. Circa 200.000 persone di differenti nazionalità furono deportate a Mauthausen: oppositori politici, persone perseguitate per motivi religiosi, omosessuali, ebrei, zingari, prigionieri di guerra e anche criminali comuni. Circa la metà dei deportati furono uccisi, o morirono a causa delle inumane condizioni di vita e di lavoro. Gli studi dell'ex deportato Hans Marsalek sui deportati a Mauthausen hanno documentato il passaggio per questo luogo di tortura e di morte di 197.464 persone: 192.737 uomini e 4.727 donne. Al momento della liberazione, nel maggio '45, si trovavano nei campi che facevano capo a Mauthausen circa 66.500 deportati (di cui 1.734 donne) molti dei quali in condizioni tali da non sopravvivere a lungo. Gli italiani deportati qui furono più di 8.000. Il 16 maggio '45, prima del rimpatrio, i superstiti del campo giurarono di combattere per "un mondo nuovo, libero, giusto per tutti".[4]
Michele Fiorentino nacque a Casteldaccia l'11 novembre del 1911. Prima di partire per la guerra lavorava come contadino. Non si hanno notizie precise sulla cattura, se non che sia avvenuta nei pressi de L'Aquila. Viene trasferito a Dachau con il "Trasporto 4", un convoglio partito da Sulmona (AQ) 1'8 ottobre 1943 con destinazione Dachau, dove giunse il 13 ottobre 1943. Altri deportati vennero aggiunti al convoglio durante le soste a Roma, Firenze e Verona. In base alla sequenza dei numeri di matricola attribuiti alla data di arrivo del convoglio (compresi tra il 56389 e il 56781), il totale dei deportati può essere valutato in 315. Il trasporto comprendeva greci, albanesi, iugoslavi e 166 italiani. Dopo Roma al convoglio vennero aggiunte alcune centinaia di prigionieri britannici. Giunto a Dachau il 13 ottobre 1943, gli venne assegnato il numero di matricola 56610 e fu, quindi, classificato come Schutzhäftling, ossia internato per misure precauzionali o di sicurezza, contrassegnato con un triangolo rosso. Alla fine di ottobre è trasferito e giunge a Buchenwald il 30 ottobre. In questo campo viene classificato come Politisch, ossia prigioniero politico, numero di matricola 34705. Muore a Örtelsbruck, sottocampo di Buchenwald, il 15 marzo o il 22 marzo 1944.[5]
Il campo di concentramento di Dachau è stato il primo istituito «ufficialmente» dal regime nazista, poche settimane dopo la presa del potere in Germania. Il campo, derivato dalla ristrutturazione degli edifici e dei terreni di una fabbrica di munizioni in disuso, era progettato, inizialmente, per 5.000 deportati. Esso fu un "campo modello" nel quale furono sperimentate e messe a punto le più raffinate tecniche di annientamento fisico e psichico degli avversari politici, cioè degli oppositori del regime, ai quali in un primo tempo quel Lager era dedicato come luogo di 'rieducazione politica'. I primi ospiti di Dachau furono funzionari e dirigenti del partito comunista. Poi vennero i socialdemocratici ed i cattolici. Ma quando uno dei prigionieri era anche ebreo il trattamento riservatogli era particolarmente avvilente e letale. Sin dall'inizio esisteva nel campo una 'Compagnia di punizione' alloggiata in una baracca separata dalle altre. In seguito le baracche divennero due perché la forza di questa formazione speciale era progressivamente aumentata. In altre parole erano aumentate le sevizie, era diventato più duro il lavoro, insopportabile il regime di vita. I prigionieri venivano stroncati dalla fatica ma altri subirono l'inumana pena del bunker, dove molti languirono per mesi (se non soccombevano prima) incatenati, alimentati con pane ed acqua o costretti a stare in piedi, dentro cubicoli di cm. 60 x 60, senza luce né aria. Questo il trattamento, questo il sistema per eliminare dalla circolazione chi non era gradito al regime. Nei primi tempi i prigionieri erano destinati alle opere di completamento delle installazioni del campo, in lavori stradali e di sistemazione del territorio intorno al campo. Poi essi furono distaccati presso varie imprese appaltatrici delle forniture di materiali per impiego bellico, che si erano nel frattempo installate nella zona. A Dachau i nazisti affidarono la gestione interna del campo agli stessi deportati. Trattandosi di un campo a prevalente presenza di prigionieri politici, fu facile per loro trovare un comune linguaggio - quello dell'antifascismo - fra uomini che, man mano che l'invasione nazista si espandeva a macchia d'olio sull'Europa, venivano rastrellati nei loro paesi ed avviati a Dachau. In breve tempo Dachau fu una vera Babilonia: tedeschi, austriaci, russi, polacchi, francesi, italiani, cecoslovacchi, ungheresi vissero insieme, dividendosi la fatica, le umiliazioni, la violenza degli aguzzini. Un comitato antinazista clandestino consentì la convivenza di tutti, all'insegna della solidarietà. Dachau ospitò anche numerosi sacerdoti che vennero rinchiusi nei cosiddetti «blocchi dei preti». Ma fu anche sede di infami esperimenti pseudo-scientifici, i soliti esperimenti che avrebbero dovuto far conoscere i modi per salvare la vita ai combattenti del Terzo Reich, ma che costarono la vita a centinaia dei suoi oppositori. Progettato originariamente ed attrezzato per ospitare al massimo 5.000 detenuti, ad onta di successive estensioni e ramificazioni in innumerevoli sottocampi, il Lager fu sovraffollato al limite tale che tre persone dovevano dormire nello stesso letto, servirsi degli stessi impianti igienici, dividere il poco e pessimo cibo. A Dachau furono registrati a turno circa 200.000 deportati (di cui oltre 10.000 italiani), ma in effetti essi furono molti, molti di più. Il 29 aprile 1945 gli americani che liberarono il campo contarono 31.432 persone, più altre 36.246 presenti nei sottocampi e distaccamenti. Questi erano i superstiti rimasti sul luogo, ma non si conosce il numero di quelli che, poco prima dell'arrivo degli alleati, furono smistati con marce forzate verso Mauthausen e Buchenwald. Non è ancora stato possibile stabilire esattamente il numero dei morti di questo campo cui si attribuisce il triste primato di durata e di insopportabilità del regime di detenzione. L'anagrafe del campo ha registrato circa 45.000 decessi, ma questa è sicuramente una cifra irrisoria di fronte alla tragica realtà di Dachau.[6]
Il campo di Buchenwald si trova nelle vicinanze di Weimar e fu costituito il 16 luglio del 1937.
Un comando di circa 300 deportati, provenienti dal disciolto campo di concentramento di Lichtenburg, presso Lipsia, eresse, con attrezzi primitivi ed insufficienti, le prime baracche del campo di Buchenwald, ricavando il legname dalla vicina foresta di Ettersberg, che fu a suo tempo prediletta da Goethe. Nel settembre dello stesso anno Buchenwald ospitava 5.382 prigionieri, ma alla fine dello stesso mese questi erano già 8.634. Alla fine del dicembre 1943 le immatricolazioni indi cavano 37.319 presenze che salirono a 63.084 alla fine del dicembre 1944 ed a ben 80.436 verso la fine del marzo 1945, cioè pochi mesi prima della fine della guerra. In tutto pare che per Buchenwald siano transitate 230.000 persone. I morti accertati e registrati ammontano a 56.554. Come sempre queste cifre sono inesatte dato che anche in questo Lager avvennero esecuzioni sommarie delle quali non è rimasta alcuna traccia. Buchenwald è stato uno dei campi affidati alla cosiddetta autogestione da parte dei «triangoli verdi» cioè di delinquenti comuni. I prigionieri politici, contrassegnati dal «triangolo rosso» dopo aspre contese ebbero il sopravvento e poterono arginare il potere dei «verdi» che si esprimeva soprattutto in delazioni e in violenze nei confronti dei propri simili. Buchenwald si distingueva dagli altri campi perché lì, più che mai, fu sperimentato ed applicato lo sterminio a mezzo del lavoro. La costruzione stessa del campo, delle strade e delle installazioni accessorie fu portato a termine a costo di un'ecatombe di deportati. Le cifre che si sono potute accertare di cono solo in parte la verità su questa vicenda. Oltre alla costruzione del campo, i deportati furono utilizzati come manodopera nei 130 comandi esterni e sottocampi situati nelle vicinanze degli stabilimenti industriali d'ogni genere, ma prevalentemente orientati verso produzioni di interesse militare che, per ragioni varie, ma prima di tutto di convenienza economica, avevano accettato i vantaggiosi contratti d'appalto offerti loro dalle SS. La presenza fra i deportati di numerosi dirigenti politici, in special modo del partito comunista, favorì i contatti fra i vari gruppi nazionali esprimendosi in una solidarietà grazie alla quale fu possibile aiutare i più deboli e perfino salvare da sicura morte, nascondendoli con ingegnosi accorgimenti, alcuni che gli aguzzini avevano condannato per motivi spesso futili. A poco a poco si costituì e si sviluppò nel campo un movimento di resistenza che permise la costituzione di un comitato clandestino internazionale che riuscì addirittura a creare una propria organizzazione militare. Grazie al coraggioso contributo di deportati che lavoravano nelle officine e nelle fabbriche d'armi dei dintorni, fu possibile trafugare componenti di armi, che furono poi riassemblate di nascosto e che servirono come dotazione a vere e proprie formazioni destinate ad intervenire al momento opportuno. L'occasione venne quando nei primi giorni dell'aprile 1945 le SS decisero di sgombrare il campo e fecero partire un primo convoglio di circa 28.000 deportati verso altri campi. Il comitato clandestino internazionale, a mezzo di una emittente che era stata costruita in gran segreto, si mise in contatto con le truppe americane che avanzavano nella zona, chiedendo immediato aiuto e nello stesso tempo ordinando l'insurrezione generale. Quando gli alleati giunsero a Buchenwald, il campo era già stato liberato dagli stessi deportati ed il comitato internazionale ne gestiva la vita democraticamente. Era il 13 aprile 1945.[7]
Riferimenti bibliografici utilizzati per la realizzazione di questo articolo: G. D'AMICO, I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945, Palermo, Sellerio, 2006; G. MELODIA, Di là da quel cancello. I vivi e i morti nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1988; ID., La quarantena. Gli italiani nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1971; V. MORELLI, I deportati nei campi di sterminio 1943-1945, Milano, Scuole grafiche Artigianelli, 1965; V. PAPPALETTERA, Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen, Milano, Mursia, 1997; I. TIBALDI, Trasporti dei deportati politici nei lager nazisti, in «Triangolo rosso», 1 (1985), pp. 8-11.
La bibliografia sulle deportazioni nei campi di concentramento istituiti dai nazisti in Europa tra gli anni Trenta del '900 e la Seconda Guerra Mondiale è sterminata, poiché comprende anche la bibliografia sulla Shoah, riportiamo qui soltanto alcuni suggerimenti di lettura, che non può essere in alcun modo esaustiva: M. AVAGLIANO-M. PALMIERI, Voci dal Lager. Diari e lettere di deportati politici italiani - 1943-1945, Torino, Einaudi, 2012; F. BARRANCOTTO, Frammenti di memoria, Palermo, Tipogafia "Alba", 2011; G. GOZZINI, La strada per Auschwitz, Milano, Mondadori, 1996; A. KOESTLER, Schiuma della terra, Bologna, Il Mulino, 2005; P. LEVI, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2014; W. SOFSKY, L'ordine del terrore. Il campo di concentramento, Roma-Bari, Laterza, 2004; G. TILLION, Ravensbrück, prefazione di Tzvetan Todorov, Roma, Fazi Editore, 2012; H. MOMMSEN, Totalitarismo, lager e modernità. Identità e storia dell'universo concentrazionario, Milano, Mondadori, 2002; D. VENEGONI, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7809 storie individuali, Milano, Mimesis, 2004.
Link correlati
[1] I deportati italiani nei lager nazisti - http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionestoria.htm (ultimo accesso: 08/12/2020).
[3] V. MORELLI, I deportati nei campi di sterminio 1943-1945, Milano, Scuole grafiche Artigianelli, 1965, p. 349; V. PAPPALETTERA, Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen, Milano, Mursia, 1997, p. 273; G. D'AMICO, I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945, Palermo, Sellerio, 2006, p. 175.
[4] Fondazione Memoria della Deportazione - Mauthausen: http://www.deportati.it/lager/mauthausen/mauthausen.html (ultimo accesso: 08/12/2020).
[5] Cf. V. MORELLI, I deportati, cit., p. 153; G. D'AMICO, I siciliani deportati, cit., p. 179. Per quanto riguarda il "Trasporto 4" vd. G. MELODIA, La quarantena. Gli italiani nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1971, pp. 31-36, 38. 40, 220; ID., Di là da quel cancello. I vivi e i morti nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1988, pp. 25, 38-39; V. MORELLI, I deportati, cit., p. 11; I. TIBALDI, Trasporti dei deportati politici nei lager nazisti, in «Triangolo rosso», 1 (1985), pp. 8-11.
[6] Fondazione Memoria della Deportazione - Dachau http://www.deportati.it/lager/dachau/dachau.html (ultimo accesso: 08/12/2020).
[7] Fondazione Memoria della Deportazione - Buchenwald http://www.deportati.it/lager/buchenwald/buchenwald.html (ultimo accesso: 08/12/2020).
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