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giovedì 31 luglio 2014

Estate 1982. Triangolo della morte Bagheria Casteldaccia Altavilla - Il dossier



di Nino Fricano

Estate 1982. Casteldaccia vive il suo periodo più traumatico. La mafia mostra la sua faccia folle e sanguinaria. Da forza silenziosa e paternalistica, legge e ordine dai metodi spicci, tradizione di ingiustizia sociale ma anche di stabilità e conservazione, la mafia diventa instabilità isterica, quotidianità gangsteristica, morti ammazzati, tantissimi morti ammazzati, e dunque massacro irrazionale, sparatorie in pieno giorno, ogni giorno, e soprattutto tanta, tanta paura.

Il romanzo L'estate che sparavano di Giorgio D'Amato ricostruisce quei giorni e quegli eventi. La voce narrante è quella di un ragazzino di 16 anni che lavora in un bar del paese. Il romanzo in questione (leggi qui la scheda) è stato fondamentale per la stesura di questo post, insieme alla consultazione dei giornali dell'epoca (L'Ora e Giornale di Sicilia) che potete visionare nelle due fotogallery di CasteldacciaPuntoDoc su Pinterest (clicca qui e qui)


Il contesto

Negli anni '70 la Sicilia diventa una dei centri principali dello smistamento di eroina di tutto il mondo. Decine di raffinerie nascono nelle campagne siciliane - almeno due nelle campagne tra Bagheria e Casteldaccia - vengono chiamati chimici ed esperti nella raffinazione da tutto il mondo.

In Sicilia arriva la materia grezza che sull'isola viene raffinata, confezionata e poi venduta sul mercato internazionale. Un fiume di denaro di entità mai vista prima. Per mille lire che si investono, centocinquanta milioni di lire si guadagnano.

Estate 1982. Il 30 aprile la mafia ha ammazzato il leader comunista Pio La Torre. Due giorni dopo arriva a Palermo il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Lo ammazzeranno appena passata l'estate, il 3 settembre.

Presidente della Repubblica Sandro Pertini, Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, Ministro dell'Interno Virginio Rogni, Presidente della Regione Mario D'Acquisto, Sindaco di Palermo Nello Martellucci. Salvo Lima è parlamentare europeo dal 1979. Vito Ciancimino è responsabile degli enti locali della Dc.

Estate 1982. L'Italia è campione del mondo. I giornali siciliani celebrano la Nazionale e raccontano la calda estate. I concerti estivi, per esempio. A Bagheria arrivano prima Cocciante, poi Venditti. Alla Favorita di Palermo arrivano i Pooh, Baglioni, Morandi, De Gregori e Frank Zappa (quest'ultimo concerto, il 14 luglio, finisce con invasione del palco da parte di alcuni fan e la reazione con lacrimogeni della polizia. Zappa indignato dichiara: "Non tornerò più in Europa").

A Monte Pellegrino, poi, scoppia il caso del “respiro del mostro”. Sempre più persone sentono un rumore forte e stranissimo. Nessuno sa spiegare cos'è. La vicenda provoca paure ancestrali e curiosità morbose. Un mistero appassionante e bizzarro che tiene banco prepotentemente nelle chiacchiere quotidiane dei palermitani, nelle piazze, nei bar e sui giornali. Presto però si svela l'arcano: il “respiro del mostro” non è altro che il verso di due barbagianni, forse un po' amplificato da qualche grotta o anfratto del Monte palermitano.

Intanto l'Italia e la Sicilia si scandalizza o si esalta – o tutt'e due cose insieme - per le nuove mode dell'Occidente, tipo il topless o monokini o nudismo in spiaggia che dir si voglia. Le nostre spiagge si popolano di turiste scandinave, inglesi, tedesche e francesi a seno nudo, oppure di qualche luciferina “milanese” o addirittura qualcuna rarissima emancipatissima siciliana.

Ma i giornali raccontano anche altro. Raccontano dei giovani stroncati da overdose di eroina, la nuova brutta “tendenza” degli anni '80. Ma raccontano anche di Palermo e della sua provincia insanguinate dalla mattanza della mafia. Circa 200 morti ammazzati nel solo 1982, altre 200 persone sparite nel nulla, occultati dentro i pilastri dei palazzi in costruzione, oppure fatti a pezzi e sotterrati o buttati a mare, oppure torturati, strangolati e sciolti nell'acido. (Leggi anche il post di StupeFatti Blog).

È la seconda guerra di mafia – così la chiamano i giornalisti - quella con cui Totò Riina e i corleonesi ottengono la supremazia interna all'organizzazione a colpi di kalashnikov.

Guerra” è la parola giusta. Come minimo.

Dalla Chiesa parla di “arroganza mafiosa”. Dice al giornalista Giorgio Bocca, nella famosa intervista del 10 agosto: "(i mafiosi nda) uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".

Il pentito Gaspare Mutolo, anni dopo, dichiarerà: "Io questa seconda guerra di mafia non l'ho capita. Quando c'è una guerra, due famiglie si armano e sanno che devono andare l'una contro l'altra. A Palermo questa guerra di mafia non c'è mai stata. C'è stato un massacro. C'è stata solo la strategia della tensione di Totò Riina".

Dopo anni di tensioni dentro la commissione provinciale, la cosiddetta "Cupola" di Cosa Nostra, i corleonesi rompono con i boss delle vecchie famiglie palermitane – quelli che gestivano i lucrosissimi traffici internazionali di eroina – fino ad arrivare ad una vera e propria guerra interna, guerra aperta, in cui tutti i boss sono costretti a giurare fedeltà assoluta ai corleonesi oppure fanno una brutta fine.

Nel 1978 Riina fa ammazzare i boss Giuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone e costringe il boss Gaetano Badalamenti a fuggire in Brasile, ma è nel 1981 che, convenzionalmente, si fa iniziare la seconda guerra di mafia, dopo che Riina scopre che Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo hanno organizzato un piano per eliminarlo.

La seconda guerra di mafia comincia a Casteldaccia. Il boss di Casteldaccia Giuseppe Panno, detto "Piddu" - vicino a Bontade - viene fatto sparire l'11 marzo 1981. Panno fa parte della commissione provinciale di Cosa Nostra fin dagli anni '60. I boss palermitani Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo muiono sotto i colpi di kalashnikov rispettivamente il 23 aprile e l'11 marzo 1981.

Da qui in poi sarà un bagno di sangue, con omicidi da una parte e dall'altra, vendette trasversali, esecuzioni e attentati ai danni di parenti, fiancheggiatori e complici di questo o di quell'altro boss. Ma questa è un'altra storia, che puoi leggere qui. Torniamo a Casteldaccia.


L'estate del 1982

Il libro di D'Amato ci parla dei giorni di fuoco dell'agosto 1982 a Casteldaccia e dintorni. Di quei 15 omicidi in appena 8 giorni che hanno fatto guadagnare al paese la famigerata posizione di vertice del "triangolo della morte", insieme a Bagheria e Altavilla Milicia.

Centrale è la figura di Filippo Marchese, boss palermitano di Corso Dei Mille, che risiede per una buona parte dell'anno in una villa al mare a Casteldaccia, in località Gelso. Ha anche un'altra villa a Casteldaccia, in contrada Fiorilli, vicino all'attuale campo sportivo. Filippo Marchese è tra i boss più feroci e sanguinari che la storia conosce. Cocainomane, sadico, violento, con una passione quasi erotica per la crudeltà, Filippo Marchese è celebre per la sua "camera della morte" in piazza Sant'Erasmo, a Palermo, in cui torturò, strangolò e sciolse nell'acido decine di vittime.

Non appena cominciano gli scontri interni alla Cupola, Filippo Marchese passa con i corleonesi, diventando uno dei loro killer più fidati. Partecipa all'omicidio di Pio La Torre e dei boss Bontade e Inzerillo.

Nel giorno di Natale del 1981, Filippo Marchese si rende protagonista di uno degli eventi più tristemente famosi dell'epoca. La strage di Natale.

Una folle sparatoria e inseguimento per tutta Bagheria, dalla Punta Aguglia fino alla zona alta dei Lannari. Due automobili - una Bmw e una Fiat 127 – che inseguono una Golf bianca con a bordo il boss di Villabate Giovanni Di Peri, insieme a Biagio e Antonino Pitarresi, padre e figlio. Di Peri e Biagio Pitarresi vengono ammazzati, Antonino Pitarresi viene rapito e sparirà nel nulla. La sparatoria provoca anche la morte del pensionato Onofrio Valvola, colpito da un proiettile vagante.

L'omicidio del boss di Villabate Di Peri è una sorta di "regalo" dei corleonesi al mafioso Salvatore Montalto, che è appena passato con la fazione di Riina, e che spera di diventare presto reggente di Villabate.

Nel luglio 1982, Filippo Marchese suggella l'alleanza con i corleonesi con un altro omicidio, quello del proprio cognato Pietro Marchese – fratello della moglie, che di cognome fa pure Marchese – che viene ammazzato in carcere.

Il 1 agosto 1982, a Palermo, viene ammazzato lo zio di Pietro Marchese: Gregorio Marchese settantacinque anni, incensurato, invalido, gli manca una gamba.

Ma a scatenare gli omicidi di Casteldaccia e dintorni è l'uccisione di un altro Gregorio Marchese, un altro fratello della moglie di Filippo Marchese, il meccanico Gregorio, 38 anni, che ha un'officina vicino Ponte Ammiraglio.

Gregorio Marchese viene ammazzato la sera di martedì 3 agosto nel bel mezzo di un banchetto, al centro di una tavolata di 11 persone, proprio presso la villa del cognato presso la località Fiorilli, a Casteldaccia. Sono presenti la sorella (la moglie di Filippo Marchese) e il nipote (il figlio, sedicenne, di Filippo Marchese). I killer irrompono nella villa e fracassano la faccia di Gregorio Marchese con una colpo di fucile caricato a pallettoni, quelli che si usano per la caccia al cinghiale. Il ragazzino sedicenne si fa una corsa folle in macchina, porta il malcapitato al pronto soccorso di Bagheria, ma non c'è niente da fare. Gregorio Marchese, gli diranno i medici di guardia, è morto sul colpo.

L'indomani Il Giornale di Sicilia pubblica un articolo dal titolo "I Marchese, famiglia da sterminare".

È l'evento scatenante della mattanza casteldaccese. Filippo Marchese si sente tradito ma non capisce da chi. La morte del cognato Gregorio Marchese non era prevista, e questo provoca la sua ira.

Qualcuno lo indirizza verso la banda di Antonino Parisi di Altavilla Milicia, latitante dai tempi dell'omicidio del carabiniere Orazio Costantino (27 aprile 1969). Parisi è a capo di un gruppo di briganti che vivono in zona Pizzo Cane e Grotta Mazzamuto.

Il fratello del latitante, Giusto Parisi, viene ammazzato due giorni dopo. Giovedì 5 agosto 1982. Giusto Parisi ha 52 anni, di cui 13 passati in carcere per la partecipazione all'omicidio di Orazio Costantino.

Alle 9.45 di mattina dello stesso giorno – giovedì 5 agosto 1982 - davanti la sede del municipio di Bagheria, vengono ammazzati i casteldaccesi Cosimo Manzella e Michelangelo Amato.

Cosimo Manzella, 47 anni, è un consigliere comunale di Casteldaccia. È stato per molto tempo democristiano ma dal dicembre 1981 è passato al partito socialista. Nei primi mesi dell'ultima sindacatura, inaugurata nel 1980, ha ricoperto la carica di assessore dei lavori pubblici. E' uno importante, Manzella. Vicinissimo all'ex presidente della Regione Mario Fasino, è stato pure consigliere comunale a Palermo. A Casteldaccia è stato eletto consigliere, la prima volta, nel lontano 1960. È stato segretario cittadino della sezione Dc ed è quello che, durante le campagne elettorali nazionali, riusciva a far venire a Casteldaccia tanti pezzi da novanta democristiana a fare i comizi. Uno tra tutti, nel 1971, Emilio Colombo, allora presidente del consiglio. Dal 1 gennaio 1975 dirige il centro traumaturgico dell'Inail in via Del Fante a Palermo.

Michelangelo Amato ha 26 anni, è cugino di Cosimo Manzella e gli fa anche da portaborse. Ha dei precedenti penali per rapina.

I killer sparano mentre i due sono dentro la Renault 5 di Manzella, che muore dentro l'abitacolo dell'automobile. Il giovane Amato invece cerca di scappare ma viene freddato sull'asfalto.

Perchè questo omicidio? La stampa di quei giorni cerca di indagare su alcuni affari legati al servizio idrico che riguardano Manzella. Ma non si arriva a niente. Scrive Giuseppe Di Piazza su L'Europeo: “La speranza di capire perché è morto Manzella svanisce presto. Quelli di Bagheria non sono altro che i cadaveri numero 180 e 181 nella lugubre contabilità aperta, per pura comodità statistica, il primo gennaio 1981 e mai chiusa”.

La sera di quella giornata di fuoco, annota D'Amato, c'è il concerto di Riccardo Cocciante a Bagheria.

Venerdì 6 agosto e sabato 7 agosto 1982 saranno tra i giorni più traumatici per la storia di Casteldaccia.

La mattina di venerdì ammazzano ad Altavilla Milicia il trentanovenne Pietro Martorana, detto U' malufigghiu, figlioccio di Don Piddu Panno. Dopo la scomparsa del boss di Casteldaccia, Martorana non si fa vedere in giro per molto tempo, tant'è che cominciano a circolare le voci che anche lui sia rimasto vittima della lupara bianca.

La mattina di venerdì 6 agosto, ad Altavilla Milicia, ci sono i killer che lo seguono dentro una 127. Lui è a passeggio con il figlio piccolo, se ne accorge, riesce ad accompagnare il figlio a casa, poi esce di nuovo da casa e va al bar. Gli sparano quando esce dal bar.

Scrive D'Amato:
Di Pietro Martorana e della sua morte Il Giornale di Sicilia scriverà che “raccapezzarsi è un'impresa, specialmente quando il buio più fitto è illuminato soltanto dai lampi di morte di chi mette altra carne sul fuoco, di chi continua ad uccidere mescolando ogni volta il mazzo di carte mai pronto per la partita”.
“Ma che vuole dire il giornale?” dice uno.
“Il giornalista l'ha scritta a poesia” risponde un altro “vuole nascondere che non ci ha capito una minchia ma c'è riuscito male”.
Dopo il morto della mattina, ecco che arrivano i due morti dell'imbrunire, questa volta a Casteldaccia, per una giornata che tutti ricordano ancora.

Ammazzano Santo Grassadonia, detto Cirasello, rivenditore di auto nuove e usate, che ha il negozio sulla via Lungarini. Grassadonia è ritenuto vicino alla famiglia di Villabate. Ammazzano pure Michele Carollo, ritenuto vicino a Don Piddu Panno, mentre si prende il fresco davanti a casa sua, in via Allò.

I due killer, a bordo di una motocicletta di grossa cilindrata, arrivano dalla Statale e salgono per la via Lungarini, passando davanti al negozio di Grassadonia, che ritarda apposta l'orario di chiusura, forse per godersi anche lui il fresco dell'inizio serata.

Molti ricordano ancora il rombo del motore che risuona al centro di Casteldaccia. I killer che salgono per la via Allò, arrivano davanti l'abitazione di Carollo, fanno inversione e scendono in controsenso per la via Allò, sparando a Don Michele e ammazzandolo, per poi continuare – sempre in controsenso – fino in via Lungarini, percorrendo la strada di prima, però al contrario, tornando davanti al negozio di Grassadonia, fermandosi e aprendo il fuoco. Il negoziante viene crivellato di colpi mentre cerca di scappare verso l'interno del negozio, verso la porta del bagno, nel disperato tentativo di salvarsi.

Il Giornale di Sicilia, il giorno dopo, sbaglia l'ordine degli omicidi.

Sabato 7 agosto comincia con l'omicidio a Bagheria di Francesco Pinello, amico di Giusto Parisi.

Intanto Filippo Marchese, consigliato da Salvatore Montalto, continua a cercare informazioni utili per capire chi ha ammazzato il cognato Gregorio Marchese.

Fa sequestrare l'ex operaio Fiat Cesare Peppuccio Manzella, che viene legato e interrogato in un negozio in disuso in contrada Balate, a Villabate. Manzella gli indica un altro casteldaccese, Ignazio Pedone, che ha un'officina a Ficarazzi e un fratello che – dice – fa parte della banda Parisi.

Filippo Marchese fa sequestrare pure Pedone, ma non riesce a cavare niente. I due o non sanno niente o non vogliono collaborare, così Filippo Marchese li strangola con le proprie mani e poi li fa incaprettare e mettere su una Fiat 127 rossa.
Filippo Marchese ordina al suo braccio destro Salvatore Rotolo di guidare fino a Casteldaccia e poi di lasciare la 127 con i due cadaveri davanti la stazione dei carabinieri.
Poi gli fa chiamare il 112 e gli fa dire: "Se vi volete divertire, andate a guardare nella macchina che è posteggiata proprio davanti alla vostra caserma".
Il ritrovamento avviene poco prima della mezzanotte.

Scrive Di Piazza sul L'Europeo: “La beffa di Casteldaccia offende, oltre che i carabinieri locali, anche il carabiniere in congedo Carlo Alberto Dalla Chiesa, venuto a Palermo nelle vesti di superprefetto antimafia all'indomani dell'uccisione di Pio La Torre".

Martedì 9 agosto c'è l'omicidio di Leonardo Rizzo, pregiudicato bagherese, che viene ammazzato nel suo appezzamento di terreno a Capo Zafferano.

Mercoledì 10 agosto il quotidiano Il Giornale Di Sicilia pubblica un articolo, a firma di Franco Nuccio, in cui il cronista racconta le sue disavventure a Casteldaccia. Bocche tappate, nessuno vuole parlare davanti alle domande del giornalista. Le prime tre persone che incontra a Casteldaccia, e alle quali chiede un commento sui recentissimi fatti di sangue - racconta Nuccio – gli fanno capire, a gesti, che sono sordomuti. Il quarto risponde, dicendogli: "Mi dispiace, ma sono cieco. Non ho visto niente". L'unico a parlare, in un modo o nell'altro, sarà il sindaco Pietro Di Salvo, che rilascia un'unica striminzita dichiarazione: "Sono terrorizzato, così come tutta la popolazione" (leggi qui l'articolo integrale del Gds).

Ma il 10 agosto gli uomini di Filippo Marchese continuano a fare piazza pulita dei loro nemici o presunti tali. Questa volta tocca ai mafiosi di Villabate, per togliere ogni ostacolo all'ascesa di Salvatore Montalto.

Quasi in contemporanea - alle ore 8.20 e 8.25 – vengono ammazzati due parenti del boss Giovanni Di Peri, ucciso nella strage di Natale di Bagheria.
Salvatore Di Peri viene ammazzato a Palermo, in via dei Tornieri, presso il mercato della Vucciria.
Pietro Di Peri viene ammazzato a Villabate, in via Alcide De Gasperi.

Come scimmiottando le brigate rosse, contro cui Dalla Chiesa è stato avversario e vincitore, i mafiosi per la prima volta rivendicano un omicidio, con una telefonata al quotidiano L'Ora: “Pronto, siamo l'equipe dei killer del triangolo della morte: con i fatti di stamattina l'operazione che chiamiamo "Carlo Alberto", in onore del prefetto, è quasi conclusa. Dico quasi conclusa”.

Dalla Chiesa verrà ammazzato una ventina di giorni dopo: il 3 settembre.

La sera del 10 agosto, si legge sui giornali dell'epoca, ci sono Ron e gli Stadio a Bagheria.

Giovedì 11 agosto, nella mattinata, gli ultimi due omicidi degli uomini di Filippo Marchese, a Palermo. Nei vialetti del Policlinico viene ucciso Paolo Giaccone, medico legale che si rifiuta di falsificare la perizia sulla strage di Natale del 1981.

Dopo l'omicidio – intorno alle dieci di mattina - i killer Salvatore Rotolo, Angelo Baiamonte, i fratelli Vincenzo e Antonino Sinagra e il loro cugino Vincenzo Sinagra (detto U' Ndli) si incontrano in via Messina Marine e si recano in via 4 aprile, tra via Alloro e piazza Marina, per ammazzare Diego Di Fatta, colpevole di uno scippo ad un'anziana signora protetta dalla mafia di Corso dei Mille.

Dopo aver sparato a Di Fatta, la macchina con a bordo i 5 killer si infila in un vicolo cieco. Riesce a fuggire soltanto Salvatore Rotolo, mentre gli altri quattro vengono arrestati dai carabinieri che avevano assistito all'omicidio.

Uno dei killer, Vincenzo Sinagra U' Ndli, diventerà tempo dopo un importante collaboratore di giustizia, svelando numerosi particolari di questo periodo.

Arrestati i killer, si conclude l'escalation di morte a Casteldaccia e dintorni, anche se la seconda guerra di mafia non è affatto conclusa, e continueranno le stragi, le sparatorie e le lupare bianche.

Di Filippo Marchese si perderanno le tracce. Alcuni pentiti raccontano che Totò Riina lo fa ammazzare tra il 1983 e il 1984, perchè considerato troppo pericoloso e instabile.

Anche di Antonino Parisi, e della sua fantomatica banda, si perdono le tracce. Il suo corpo non verrà mai ritrovato. I killer mafiosi però – il 25 agosto 1982 – provvedono ad ammazzargli, dopo il fratello, pure il figlio – Salvatore Parisi – che muore in un comune nella provincia di Napoli, proprio davanti a sua madre, Rosa Triolo.

L'ultimo capitolo di L'estate che sparavano racconta, sempre dal punto di vista del giovane protagonista, la marcia “contro la mafia e contro la droga” del 26 febbraio 1983. (Leggi qui il post di CasteldacciaDoc).


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5 commenti:

  1. Non aggiungi niente di nuovo mi sembri piuttosto lacunoso e forse reticente. Francesco Camarda.

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    1. Gentile Sig. Camarda, il testo è ovviamente "lacunoso" in quanto si basa su poche fonti: un romanzo e alcuni giornali sull'epoca. Però è un inizio, una base da cui partire per raccontare un periodo storico. Il blog è una "opera aperta" i cui testi sono fatti apposta per ricevere commenti, osservazioni, critiche e - soprattutto - contributi ulteriori, integrazioni e ulteriori approfondimenti. Visto che lei non è "reticente" - come lei mi accusa di essere (avrei preferito un termine più sincero da parte sua, e cioè: "omertoso") - la invito a darci una mano e fornire altri materiali, altre informazioni, altri contributi, altre testimonianze, a questo testo che lei è stato così solerte e puntuale nel criticare.

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  2. Gent.mo Signor Fricano, Non si scaldi anziché trascrivere quanto scritto da altri faccia quello che una volta si chiamava inchiesta, faccia delle domande interroghi la gente, le risposte sono facili le domande sono difficili, comunque buon lavoro, quello che mi senti fi suggerirle è di allargate l'indagine anche ai casi di lupara bianca, e cosa ancora più importante il rapporto fra mafia e politica.

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  3. Ma che reticente, solo due piccole e comprensibili inesattezze: Gregorio Marchese viene ammazzato nel villino in contrada Fiorilli, vicino il campo sportivo 2) Franco Pinello sotto casa propria a Bagheria. A proposito di reticenti: a quando un dibattito sul ruolo e potere attuale della mafia nel nostro territorio ?

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