«Si superano, in
breve volgere d'ore, distanze immense, si bruciano, in una sola giornata,
esperienze ed attività che abbisognavano di anni. Difficilmente ci si trova,
fermi, nel raccoglimento della ricerca e dello studio, nella riflessione su ciò
che è stato e che spesso in tanta parte è presente tra noi, anche se non ce ne
accorgiamo specie quando, a prima vista, può non sembrare utile ad agevolarci
nella nostra ansia di procedere, di andare.
E non ci
accorgiamo di trascurare una ricchezza: quella del nostro passato, del nostro
passato non di singoli, ma di comunità, del nostro passato sociale, di ciò da
cui proveniamo e in cui siamo inseriti, di ciò che tante volte spiega il
presente e può gettare fasci di vivida luce sull'avvenire.
Una ricchezza,
perduta, dunque, o comunque trascurata quella della storia: la storia della
nostra comunità, della nostra piccola comunità, cui ci sentiamo o diciamo di
essere distaccati, che comunque, spesso, preferiamo sfuggire bruciati dal
vorticoso e sovraccarico volgere del giorno che passa.
Eppure, proprio
lo sforzo di riallacciarsi al passato, di sentirsi continuazione ideale di
esso, pur nelle forme e nei modi nuovi e necessari, potrebbe costruire, specie
per i giovani, uno degli antidoti più efficaci al loro sentirsi 'rovesciati nel
mondo', secondo l'espressione di un filosofo esistenzialista, a loro smarrirsi
in pensieri di inutilità della vita, a loro cercare una strada che senza
estraniarli da sé li renda tutti se stessi». Con queste parole Mario Fasino,
Assessore regionale all'Industria, commercio e demanio, introduceva il libro di
Rocco Russo, Casteldaccia nella storia
della Sicilia.[1]