Arrivammo appena due o tre mesi prima dello sbarco. Furono
settimane intense, di fitti contatti umani ma di grande incertezza. Anzi da
quel momento la Sicilia fisica quasi scompare per me, si ritira sullo sfondo e
l'isola diventa per molti anni convulsi un groviglio di uomini, in luoghi
spesso di una grande bellezza, nascosta però dagli eventi e dalle cose. In
principio fui deluso perché tutto pareva uguale a sempre, con la popolazione
che restava impegnata nelle sue quotidiane fatiche. Ma "in società" si
parla molto. I titolati con terre al sole son tutti molto offesi, non hanno
digerito "l'appoderamento del latifondo", una pensata alla brava del
Duce, quando s'è accorto che le guerre in Abissinia e in Spagna non bastavano
ad assorbirgli tutto il contadiname siciliano. O forse è il sogno delle antiche
colonie romane coi contadini-soldati che torna spesso nella mente di
quell'incorreggibile maestro elementare, fanatico delle guerre puniche. Hanno
spostato qualche vacca, hanno costruito una decina di case coloniche, tutte in
zone panoramiche (non per vedere ma per essere viste) e strombazzano l'idea di
trasformare la Sicilia in una specie di Toscana. Ma di queste terre e di questi
contadini — siano o no veterani di guerra — i nobili la sanno molto lunga e ne
capiscono molto di più. E sono così arrabbiati che hanno perfino il coraggio di
dirlo. Un decano scrive addirittura un elogio del latifondo. È incredibile come
la lezione viene appresa in società. Perfino les jeunes filles en fleur,
le belle ragazze dell'aristocrazia sanno spiegarti benissimo perché
l'appoderamento è follia, e sanno perfino difendere í meriti dell'aratro a
chiodo.