venerdì 2 settembre 2022

"Quel favoloso sbarco" di Gianni Guaita

Arrivammo appena due o tre mesi prima dello sbarco. Furono settimane intense, di fitti contatti umani ma di grande incertezza. Anzi da quel momento la Sicilia fisica quasi scompare per me, si ritira sullo sfondo e l'isola diventa per molti anni convulsi un groviglio di uomini, in luoghi spesso di una grande bellezza, nascosta però dagli eventi e dalle cose. In principio fui deluso perché tutto pareva uguale a sempre, con la popolazione che restava impegnata nelle sue quotidiane fatiche. Ma "in società" si parla molto. I titolati con terre al sole son tutti molto offesi, non hanno digerito "l'appoderamento del latifondo", una pensata alla brava del Duce, quando s'è accorto che le guerre in Abissinia e in Spagna non bastavano ad assorbirgli tutto il contadiname siciliano. O forse è il sogno delle antiche colonie romane coi contadini-soldati che torna spesso nella mente di quell'incorreggibile maestro elementare, fanatico delle guerre puniche. Hanno spostato qualche vacca, hanno costruito una decina di case coloniche, tutte in zone panoramiche (non per vedere ma per essere viste) e strombazzano l'idea di trasformare la Sicilia in una specie di Toscana. Ma di queste terre e di questi contadini — siano o no veterani di guerra — i nobili la sanno molto lunga e ne capiscono molto di più. E sono così arrabbiati che hanno perfino il coraggio di dirlo. Un decano scrive addirittura un elogio del latifondo. È incredibile come la lezione viene appresa in società. Perfino les jeunes filles en fleur, le belle ragazze dell'aristocrazia sanno spiegarti benissimo perché l'appoderamento è follia, e sanno perfino difendere í meriti dell'aratro a chiodo.

Utilizzando questo sito si accettano e si autorizzano i cookies necessari+InfoOK