Un paesello del circondario di Palermo che conta appena duemila abitanti. Sopra di esso verso la metà di agosto si scatenò una di quelle bufere che, tanto spaventevoli, ricorrono soltanto nelle nostre province meridionali, ove la natura nelle sue manifestazioni assume per lo più tratti vigorosi ed eccessivi. Sull'infelice abitato di Casteldaccia il 16 agosto era calata la notte. Non occorre dire che per le vie non s'incontrava anima viva, tutti i terrazzani essendosi rinchiusi nelle rispettive abitazioni, in preda a viva trepidazione per le sciagure che presentivano che da un momento all'altro li avrebbe colpiti.
Il funesto presagio non tardò ad avverarsi. Intorno alla mezza notte i carabinieri Rizzuto Tommaso e Leoni Benedetto che, unici a quell'ora aggiravansi per le vie eseguendo la pattuglia interna, odono uno sparo d'arma da fuoco.
- Questo non può essere altro che un segnale d'allarme di gente che invoca soccorso: corriamo a quella volta.
Così dicendo i due militari frettolosamente traducono in atto il loro proposito, né il presentimento li ingannava, poiché vaste fiumane stavano precipitandosi sul paese, e le case di Orlando, Bonaccolta e Calò, sindaco del luogo, erano state invase. Lo sparo per chiamar gente in aiuto era partito da casa Orlando. Quasi nello stesso tempo dei due militari accennati giungevano di corsa sul luogo il brigadiere Zanichelli Pietro, comandante della stazione, ed il suo dipendente carabiniere Pisone Sebastiano, i quali avevano udito lo sparo dalla vicina caserma. Per quelle famiglie disperate, l'arrivo di questi militari fu veramente provvidenziale, poiché si misero a tutt'uomo ad aprire sbocchi alle correnti ed erano quasi riusciti a scongiurare il pericolo, quando udirono all'estremità del paese un'altra detonazione. Pioveva sempre a dirotto: quale compassionevole spettacolo! Il lampo rischiara quella scena: a quel bagliore i due militari scorgono un bambino galleggiante sulle onde; esso sta per essere travolto in una chiavica lì presso. Il brigadiere Zanichelli non mette tempo in mezzo, si slancia, dimentico perfettamente di sé e non curante del pericolo, in mezzo alle acque e riesce ad afferrare il pericolante. Senonché, impotente a resistere a tanta violenza della corrente, pure esso sarebbe stato travolto; ma accortosene il carabiniere Rizzuto, alla sua volta si slancia in mezzo all'acqua e trae a salvamento superiore e bambino.
- Ora torniamo subito alle origini delle acque, disse allora il brigadiere: vi troveremo i carabinieri Pisone e Leoni.
Giunsero colà quando la corrente con parte dell'abitazione di certo Massimo Mazzella[1] trasportava questo stesso, la di lui moglie Anna, due loro figlietti, uno di due anni, l'altro di 40 giorni e tre figliastri dell'età rispettiva da 25 a 11 anni. Di tutti costoro, gli adulti ebbero la fortuna di salvarsi da soli uscendone però malconci e contusi; il bambino Mazzella fu salvato dal brigadiere e dal carabiniere Rizzuto, e la lattante di 40 giorni fu rinvenuta da Carlo Calò fuori di pericolo.
L'articolo è tratto da Carabinieri.
[1] In realtà si tratta di Mariano Manzella, classe 1853, sposato con Anna Mancuso, classe 1843. Anna sposò in prime nozze un certo Andrea Canale, dal quale ebbe Salvatore, Isabella e Nunzio; in seconde nozze sposò il Manzella il 16 ottobre 1881, dal quale ebbe Giovantonio, nato il 18 luglio 1881. Inoltre, nel sito dal quale è tratto il racconto riporta come anno di pubblicazione il 1877. Tuttavia, riteniamo che si tratti del 1887.
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