di Marta Riccobono
Lo scorso 17 dicembre 2014 l’Amministrazione comunale di Casteldaccia, accogliendo la proposta della Consulta della Cultura, ha conferito la cittadinanza onoraria a padre Cosimo Scordato, il sacerdote che insieme a padre Mariano Lo Coco ha guidato la comunità casteldaccese per circa dieci anni, tra il 1973 e i primi anni ’80. A quel tempo Casteldaccia era tristemente nota per essere, insieme ad Altavilla e Bagheria, uno dei vertici del cosiddetto “triangolo della morte”: le ammazzatine mafiose erano all’ordine del giorno, e alla messa domenicale i capimafia sedevano al primo banco della Chiesa. Padre Cosimo, “uomo dall’intelligenza vivace e creativa”, come lo definisce il Vescovo di Cefalù Mons. Manzella, con grande sensibilità raccolse il desiderio di cambiamento che iniziava allora a maturare nei casteldaccesi, soprattutto in quelli più giovani, e fece della parrocchia un centro di discussione e di confronto. Lo spirito del Concilio Vaticano II si mescolò con le istanze pacifiste ereditate dai movimenti giovanili del ’68, padre Cosimo riunì la “meglio gioventù” casteldaccese e tutti insieme diedero vita ad un centro culturale sede di attività ricreative e di accesi dibattiti, e al giornalino ’A Zotta, sul quale si parlava anche e soprattutto di politica. Ma il nome di padre Scordato è legato ad un altro avvenimento, che si può ben definire “storico”: la marcia antimafia che nel febbraio ’83 unì (letteralmente) Casteldaccia e Bagheria, due vertici del triangolo di sangue, mobilitando una grande massa di cittadini che decisero di sfidare a viso aperto il potere mafioso. E siccome nello spirito del Concilio rientrava anche il superamento degli steccati ideologici in nome del bene comune, padre Cosimo la marcia la organizzò insieme ai comunisti. Se ne ricorda bene Vito Lo Monaco, oggi presidente del centro studi “Pio La Torre”: tra quei giovani militanti del PCI c’era anche lui, a girare casa per casa insieme a padre Cosimo, invitando i casteldaccesi ad unirsi alla marcia.
L’impegno sociale di padre Scordato – che continua ancora oggi a Palermo, nel quartiere dell’Albergheria, presso la parrocchia di San Francesco Saverio – ha lasciato un’impronta indelebile nella comunità casteldaccese, che lo ricorda sempre con grande affetto. Ricambiato, come ci tiene a precisare lo stesso sacerdote nel corso della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria: “Io mi sentivo già cittadino di Casteldaccia, ora la cosa viene solo ufficializzata”, dice con una battuta. A festeggiarlo, in un clima da rimpatriata tra ex compagni di scuola, ci sono quei “giovani di allora” che in padre Cosimo hanno trovato un amico, oltre che una guida spirituale. Nella sala stracolma mancano però i “giovani di adesso”, così come manca il tempo futuro nei discorsi degli intervenuti: parlano tutti al passato, la Meglio gioventù che sfuma lentamente nel bianco e nero di Amarcord. Presente e futuro tornano però nelle parole di padre Cosimo: e se il primo viene usato per descrivere una realtà fatta di pastifici chiusi e disoccupazione (con i suoi ovvi risvolti sul piano sociale), il secondo serve ad esortare i suoi “ragazzi” a passare il testimone ai più giovani, per rilanciare la vita di Casteldaccia e fare emergere ancora una volta la sua ricchezza umana. “Bisogna rivitalizzare l’elemento di coesione sociale, e farlo in forme nuove”, dice padre Scordato. Ci si è riusciti in un passato che sembrava impossibile da cambiare, ci si può riprovare adesso. È un illustre e amato cittadino onorario, d’altra parte, a chiederlo.
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